L'intelligenza istintuale e la saggezza del corpo

Mi sembra di poter ipotizzare che, forse, anche grazie all'attenzione suscitata dalla questione del "trauma", siamo di fronte al processo di configurazione di una modalità conoscitivo-operativa che definirei "Intelligenza istintuale", così come negli anni passati abbiamo assistito alla configurazione della "Intelligenza emotiva", e questo, a mio avviso, ci tocca direttamente, come analisti/e bioeneregtici/che, perché tutte le volte che Lowen parla della "saggezza del corpo", credo che le affermazioni relative a tale "saggezza" potrebbero, in un futuro vicino, essere riconcettualizzate come manifestazioni dell'"intelligenza istintuale".

E' sotto gli occhi di tutti gli addetti ai lavori che la centralità del fenomeno "trauma", nel contesto psicosociale attuale, sta portando in primo piano la componente necessariamente corporea della cura inerente al trauma stesso. E, allo stesso tempo, alcune ricerche neurobiologiche stanno decisamente rivoluzionando l'idea riduttiva e limitata che finora si era avuta dell'istinto; tra queste ricerche includo la "Teoria polivagale" di Stephen W. Porges, "Il secondo cervello. Il sistema nervoso enterico (ENS)" di Michael D. Gershom, i "Neuroni a specchio"di Giacomo Rizzolatti e Corrado Sinigaglia, ecc.

A mio avviso, dunque, l'idea di corpo, legata alla scissione "mente/corpo", sarà rivoluzionata dalla trasformazione dell'idea di istinto, e ciò ha a che fare anche con la definizione del rapporto con la "parte selvaggia" che c'è in ognuno/a di noi, nella cornice del discorso sulla "modernità", sulla "civilizzazione", sulla "Wildnis/Wilderness", di cui hanno parlato recentemente: Clarissa Pinkola Estés in "Donne che corrono coi lupi. Il mito della donna selvaggia."; Hans Peter Duerr in "Nudità e vergogna" e in "Tempo di sogno"; Claudio Risé ne "Il maschio selvatico", sulle orme del romanticismo tedesco, di Nietzsche, di Thoreau, delle ricerche demo-etno-antropologiche, del saggio sullo sciamanesimo di Mircea Eliade, de "Il linguaggio della Dea" di Marija Gimbutas, ecc.

Concludo citando la tesi dell'antropologo francese Bruno Latour, che nel suo "Non siamo mai stati moderni" (Elèuthera, 2009), propone di pensare la "modernità" come costituzionalmente costituita, fin dal principio nel XVI° secolo, da un mix di "antico" e di "moderno", di "progresso" e di "tradizione", alla faccia della scissione mente/corpo!LG

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