IL FILONE CORPOREO IN PSICOTERAPIA

La scissione mente/corpo attraversa anche il mondo della psicoterapia: si può, quindi, individuare un "filone corporeo". Tutto questo ci tocca profondamente come persone che fanno esperienza della Bioenergetica, come conduttori/trici di classi, come counsellors, come terapeuti/e, tutti/e noi partecipiamo al "filone corporeo", filone non egemonico all'interno della psicoterapia, proprio perché posizionato sul "polo corporeo" opposto al "polo mentale-intellettuale", considerando l'opposizione "mente/corpo", l'opposizione valoriale fondante, alle origini, il sapere occidentale moderno, secondo lo schema: mente=organo della conoscenza/corpo=oggetto della conoscenza; mente=attività/corpo=passività; ecc.

Con l'affermarsi del modello fisico newtoniano, il modello della conoscenza occidentale moderna affermò che "reale" e, quindi, degno dell'esercizio dell'intelligenza fosse solo ciò che cadeva sotto i sensi (o veniva colto cogli strumenti, di cui il telescopio è l'esempio principe), a cui era possibile applicare il "criterio dell'oggettività", e che poteva essere quantizzato attraverso procedure matematiche. Solo ciò a cui si poteva applicare il "criterio di oggettività", inoltre e non secondariamente, poteva venire sottoposto al "procedimento vero/falso". In altri termini, prendere la Fisica newtoniana come modello significò legittimare il distacco-differenziazione del sistema-scienza (teoria sociologica della differenziazione sistemica, N. Luhmann) dalla ricerca del "grande senso" e, al contempo, porre l'enfasi sulla capacità umana di manipolazione dell'ambiente umano e naturale. Come ci racconta la storica della scienza Carolyn Merchant, in "La morte della natura" (Garzanti, 1988), fu così che la concezione tradizionale della "natura come organismo" venne sostituita con la concezione moderna della "natura come macchina", e questo ha a che fare col "filone corporeo" perché anche il corpo umano venne considerato una "macchina", e lo è ancora oggi. Contro questa concezione noi bioenergetici/che lottiamo quotidianamente.

Questo argomento spiega il cul de sac, o vicolo cieco, in cui è intrappolato l'esercizio della conoscenza in Occidente: il criterio dell'oggettività della scienza, scienza è il nome che viene dato al sapere ufficiale. Il criterio dell'oggettività ha cominciato a scricchiolare proprio in campo fisico, tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, mentre non è stato mai possibile osservarlo compiutamente da parte delle scienze umane, nonostante gli sforzi di tanti, da Auguste Comte (1798-1857) ai nostri giorni, perché nelle scienze umane l'oggetto è l'essere umano stesso. La psicoterapia, come sappiamo, ha una storia ancora più complessa rispetto alle altre discipline che si occupano di studiare i fenomeni umani. Dunque, se è vero che il criterio di oggettività, il "punto di Archimede", è stato messo in discussione, il "cambiamento di paradigma", auspicato negli anni '70, sembra ancora lontano da venire, nel frattempo, si naviga a vista, continuando nella frammentazione delle discipline e delle specializzazioni in lotta tra loro per accaparrarsi fette di mercato e finanziamenti pubblici e privati.

E il momento storico-culturale attuale come si caratterizza? Siamo in piena "modernizzazione riflessiva" ci dicono i sociologi Ulrich Beck, Anthony Giddens e Scott Lash ("Modernizzazione riflessiva", Asterios, 1999), ovvero i vari settori riflettono sui loro fondamenti, rimettendoli in discussione. E, poi, c'è l'antropologo francese Bruno Latour che fa scalpore affermando che "Non siamo mai stati moderni" (Eléuthera, 2008), ma un mix fin dall'inizio di "moderno" e di "antico", di "progresso" e di "tradizione". Tesi estremamente interessante per noi che apparteniamo al ramo cadetto del sapere occidentale, accusati dagli appartenenti al ramo egemone di compromissioni con irrazionalità e arcaismi, anche attraverso domande come questa: "Ma l'energia è una realtà o una metafora?". Come ci tocca tutto questo? Il mio contributo ha l'intento di promuovere l'inserimento delle considerazioni sul nostro lavoro nell'atmosfera caratteristica della tarda modernità così come la leggono gli autori suddetti, ovvero, all'interno del cosiddetto "discorso sulla modernità". Vediamo, allora, come possiamo radicarci, essere grounded, attraverso la messa a tema della nostra appartenenza al "filone culturale corporeo", nell'ambito della storia delle idee e dei movimenti sociali e politici che afferiscono alla tematica della "corporeità". Lanciamo uno sguardo, di nuovo, alle origini della "modernità" per ricercare le tracce del nostro "filone".

Le origini più recenti del "filone culturale corporeo", a cui apparteniamo, ci portano in terra germanica. "La riscoperta del corpo è stata alla base di un vasto e complesso movimento che, a partire dalla fine del XIX° secolo, ha attraversato le ideologie e le separatezze delle modalità espressive. Fenomeno trasversale e fondante, troppo facilmente allontanato e rimosso dalla riflessione critica e dall'analisi storica, ebbe uno sviluppo preminente nei paesi di cultura tedesca. Alle sue origini contribuì in maniera determinante la Jugendbewegung, il Movimento giovanile tedesco. Nato dalla ribellione degli studenti borghesi di fine secolo ai moduli stereotipati e soffocanti delle città create dai padri, vissuti ormai come segnale di decadenza civile e morale, il Movimento (di spirito vigorosamente nazionalista) si rivolse alla natura, in cui riconosceva una bellezza e una purezza originarie, fiere e incontaminate, adatte a forgiare per contato spiriti e corpi sani e vitali. (...) Su questo terreno la Jugendbewegung si incontrò del resto felicemente con il più generalizzato e meno facilmente circoscrivibile - dal punto di vista dell'età e della condizione sociale degli aderenti - movimento per la Lebensreform (Riforma della vita), che cercava di ritornare alle cosiddette forze genuine della vita e di rigenerare l'uomo e la società attraverso il vegetarismo, il rifiuto dell'alcolismo, la salubrità della natura, la riforma agraria e la difesa delle città-giardino. La ripulsa della metropoli e il ritorno al libero rapporto con la natura divennero il simbolo di una vera cultura della liberazione, sfida alla morale borghese dell'ipocrisia e alla politica dell'industrializzazione che deforma l'uomo in macchina." (Eleonora Casini Ropa, "Alle origini della danza moderna", Il Mulino, 1990, pp. 81-82)

Si tratta della Koerperkultur, la cultura del corpo, che determinerà un profondo cambiamento nella mentalità, negli usi e nel gusto, nell'igiene, nell'impiego del tempo libero, nell'educazione, nell'espressione quotidiana e artistica, concretizzandosi in iniziative di ricerca e di sperimentazione, individuali e collettive, di nuovi sistemi e norme di vita e di educazione fisica. "Vi si innescano la psicologia e la nascente psicoanalisi, ma anche l'interesse verso dottrine esoteriche come la teosofia, l'antroposofia e verso le religioni orientali e le correnti mistiche che, tutte propugnavano un legame indissolubile dell'uomo con le forze e i ritmi cosmici..." (p. 82, ivi) "...il ritmo, come fondamentale elemento regolatore e armonizzatore del movimento del cosmo, divenne la base di qualsiasi attività fisica organizzata. Contemporaneamente il gesto, inteso nella sua accezione più alta di manifestazione fisica del movimento, per la diretta connessione che venne sempre più acquisendo con la dimensione interiore dell'uomo, divenne ostensore sensibile di pulsioni e significati nascosti, si caricò di 'un'espressività' che doveva farsi rivelazione della ritrovata armonia dell'individuo con se stesso e col cosmo." (p. 83, ivi)

La tematica della "corporeità" si lega, dunque, nella Koerperkultur, con quella della connessione con i ritmi vitali, con i ritmi della natura, con i ritmi cosmici. Si può parlare, a mio avviso, di leit motiv del "filone corporeo" a cui apparteniamo. Come Goethe aveva fatto da ponte tra lo spirito rinascimentale originario e il suo tempo, Wilhelm Reich (1897-1957) farà da ponte tra la Koerperkultur e il mondo della psicoterapia, introducendone l'approccio e il leit motiv - corporeità e ritmicità - a dispetto dell'impostazione freudiana, basata sul sospetto verso la pulsionalità irrazionale. Reich e Lowen, sulle sue orme, opporranno alla razionalità meccanicista-utilitarista la saggezza della natura di impronta vitalistica, attraverso l'uso polisemico del termine "bioenergia", muovendosi, in tal modo, al confine tra scienza ufficiale, "politica della riconcettualizzazione" (Hazel Henderson, "Creating Alternative Futures", 1978, Putnam, NY) e saperi tradizionali.

La nostra storia come comunità bioenergetica italiana inizia negli anni '70, anni in cui si credette di essere vicini/e al "cambiamento di paradigma" (F. Capra, "Verso una nuova saggezza", Feltrinelli, 1995) e, invece, eravamo vicini/e alla competizione, spesso commercializzata, tra tutte le possibili posizioni. Dei segni c'erano, ma si è cominciato a decifrarli da poco: in quegli anni, facevano la loro comparsa i fenomeni della contaminazione e della disseminazione; la politica doveva accogliere istanze irrazionali e contrapposizioni impensate sulla base della differenza di genere e della differenza generazionale (M. Luisa Boccia, "Il patriarca, la donna, il giovane. La stagione dei movimenti nella crisi italiana.", in "Cultura, nuovi soggetti, identità.", Rubbettino, 2003, pp.253-282). Nel nostro paese, a livello istituzionale, il portabandiera del movimento per il cambiamento di paradigma nel campo della salute mentale, fu Franco Basaglia. La SIAB nacque, in ambito extra- ed anti-istituzionale, proprio sull'onda dell'entusiasmo sociopolitico del tempo (Luisa Parmeggiani, "Così nacque la SIAB - Amarcord", Grounding, 1-2006, pp. 21-33). Che ne è stato dello spirito di quegli anni e cosa è accaduto nel "filone corporeo" a seguito delle vicende dei decenni successivi? Perché non ne parliamo? Io credo che ci sia bisogno di riflettere sulla nostra storia, inquadrandola all'interno della "storia delle idee" e della storia dei movimenti sociali e politici con cui il "filone corporeo" è intrecciato. Anche perché, proprio nel frangente della tarda modernità, il vertice prospettico della psicoterapia, e della psicoterapia corporea, in particolare, in quanto disciplina quanto mai di confine, risulta, a mio avviso, particolarmente adatto a cogliere la complessità che stiamo vivendo.


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