Bioenergetica e intelligenza istintuale

Alexander Lowen ha fondato l'Analisi Bioenergetica, a partire dalla centralità, nel pensiero occidentale, dell'opposizione "mente/corpo" sulla lotta a tale scissione, rivalutando il secondo termine, il corpo, fino ad esaltarne la "saggezza". Alla luce degli ultimi sviluppi delle neuroscienze e della neurobiologia pare ragionevole ipotizzare che si sia di fronte al processo di configurazione di una modalità conoscitivo-operativa definibile come "intelligenza istintuale", così come negli anni passati si è assistito alla configurazione della "intelligenza emotiva". Tutte le volte che Lowen parla della "saggezza del corpo" e le affermazioni relative a tale "saggezza" potrebbero, in un futuro vicino, essere riconcettualizzate come manifestazioni dell'"intelligenza istintuale". In quest'ottica, l'esperienza bioenergetica paradigmatica, il "grounding", può essere considerata l'esempio emblematico dell'intelligenza istintuale. Tale concettualizzazione può essere situata nell'ambito del dibattito in atto relativamente alla complessiva ridefinizione del sapere moderno occidentale, ovvero, nella cornice del cosiddetto "discorso sulla modernità".

A questo obiettivo sembrano contribuire la svolta relazionale incentrata sulla co-regolazione degli affetti attualmente in atto in ambito psicoanalitico, la ricerca relativa alla terapia su base corporea del trauma, nonché i più recenti sviluppi delle neuroscienze come: la scoperta dei "neuroni a specchio" - centrali nel fenomeno dell'empatia - effettuata dall'équipe italiana guidata da Giacomo Rizzolatti e Corrado Sinigaglia; l'individuazione del "Sistema nervoso enterico (ENS)" da parte dell'équipe statunitense guidata da Michael D. Gershon; lo sviluppo della comprensione delle funzioni del Nervo Vago all'interno del Sistema nervoso autonomo da parte dell'équipe statunitense guidata da Stephen Porges, a cui si deve l'elaborazione della "Teoria polivagale".

Può essere utile, porre al centro della nostra riflessione, insieme all'opposizione "mente/corpo", l'opposizione "ragione/istinto", infatti, è evidente che la "ragione" occidentale moderna si sia definita proprio in contrapposizione all'"istinto" e alla "corporeità", ad esso connessa indissolubilmente. Concettualizzare l'esistenza dell'intelligenza istintuale, ovviamente non ridotta a comportamenti rigidi e "primitivi", "rettiliani", può costituire lo sviluppo odierno di quella corrente di ricerca e di esperienza che, da Goethe ai giorni nostri, ha attraversato l'Occidente, interessando fortemente le arti, soprattutto la danza e il teatro, e la filosofia, ma anche la "scienza romantica" nella sue aspirazioni vitalistiche, e che ha avuto come luogo d'elezione il mondo germanico a cui apparteneva anche Wilhelm Reich, maestro di Lowen.

"Non esiste una definizione univoca di intelligenza, ma...ogni definizione risente dell'orientamento di pensiero che la formula.", scrive Galimberti nel Dizionario di Psicologia da lui curato (p. 487), e alla voce 'Istinto' inizia così: "Risposta organizzata di una specie, filogeneticamente adattata a una determinata situazione ambientale." (ivi p. 517). Una definizione molto estesa e interessante è quella che ne dà Alain Delanay nell'Enciclopedia Einaudi (p. 1032): "Il concetto di istinto si trova sul punto di confluenza di numerosi problemi:

- la teoria della conoscenza,

- lo studio delle 'abitudini' dell'uomo e degli animali,

- la teoria dell'evoluzione e la sua rilettura in chiave genetica,

- la psicologia sperimentale e i suoi rapporti con la neurofisiologia,

- l'approccio psicanalitico dell'Io,

- e, infine, l'interpretazione eto-ecologica del comportamento."

Nozione ormai controversa e che è andata scomparendo nei trattati di etologia, "l'idea di istinto conserva tutta la sua forza e la sua influenza sulla soggettività. Non si tratta di un ritardo dell'opinione sulla scienza, ma piuttosto dell'affermazione più o meno cosciente nel cuore del soggetto, secondo cui la scienza non affronta mai il problema reale e non fa che respingerlo...E' dal centro dell'Io nel suo rapporto col mondo che l'istinto viene vissuto come enigma, enigma dell'animalità e - per un gioco di specchi - enigma dell'umanità. (...) l'istinto può essere concepito come una minaccia di animalità all'interno dell'Io (...) Ma l'istinto può anche apparire come una promessa di apertura sul mondo. Allora è lo slancio salvifico di ogni essere umano, che gli consente di lasciarsi portare dalla propria natura verso le cose, e di coglierle in un rapporto d'intimità. In questo senso l'istinto sarebbe...il mezzo col quale l'essere umano sfugge al mostro oggettivo." (ivi pp. 1032-33).

La disamina del concetto di "istinto" richiede di porre un'attenzione particolare alla teoria dell'evoluzione e alla definizione di "riflesso", secondo una catena logica del tipo: riflessi-tropismi-istinti-intelligenza. La suddetta disamina esula ovviamente dai limiti di questo contributo e va rimandata ad un contesto specifico. E' il caso, invece, qui di ricordare che la ridefinizione della dimensione istintuale nell'essere umano si situa nell'orizzonte della "sfida della complessità" e della "crisi delle certezze". La realtà torna ad essere ufficialmente considerata imprevedibile; la presa che la scienza occidentale credeva di avere su di essa si allenta vieppiù, mascherata a stento dal rutilante e commerciale spettacolo del progresso tecnologico. Parte fondamentale del rinnovamento dell'atteggiamento esistenziale-cognitivo occidentale sembra risiedere nel recupero del sentimento di "sentirsi parte". L'esperienza bioenergetica di essere profondamente e pienamente in contatto con noi stessi/e, con la saggezza del corpo, supera il rischio attuale di una chiusura individualistica, stimolando risorse interiori che ci spalancano a vissuti di coappartenenza e di coevoluzione col nostro ambiente relazionale e naturale. In un clima siffatto, le opposizioni "società/natura" e "individuo/comunità" potrebbero trasformarsi in rapporto fecondo tra polarità esistenziali-relazionali. Ed è questo il messaggio bioenergetico, il quale auspica l'avvento del "pensiero funzionale" capace di mettere in dialogo le polarità: "La nostra logica vede solo le cose come dualità, come causa ed effetto. La comprensione del paradosso dell'unità e della dualità è competenza del pensiero funzionale, il quale richiede una nuova forma di coscienza.", come scrive Lowen in "Bioenergetica" (p. 295). Questa nuova forma di coscienza e di conoscenza si può manifestare, secondo Lowen, solo attraverso la resa dell'Io al Sé. E il processo inizia col riconoscimento da parte dell'Io occidentale della sua corporeità e del suo legame con la terra, la natura e il cosmo grazie al rapporto mediato all'inizio dalle nostre madri e dalla comunità umana e, poi, da adulti/e, stabilito anche in modo diretto con la Madre Terra e con la spinta vitale dentro di noi. "Noi siamo creature della terra, animate dallo spirito dell'universo. La nostra umanità dipende da questa connessione con la terra. (...) Più ci allontaniamo dal suolo, tanto più si ingigantisce l'immagine di noi stessi (del nostro Io)." (p. 234). Ciò produce un "mondo" illusorio. "In questo mondo illusorio non ci sono sentimenti di tristezza o di gioia, di dolore o di gloria. Non ci sono sentimenti reali solo sentimentalismi." (p. 234) " Essere più in contatto con il corpo significa essere in contatto con i sentimenti e permette di sviluppare la padronanza nella loro espressione, questa è la base della "pace interiore" (p.235).

La corporeità bioenergetica connessa con la terra, la natura e il cosmo permette di abbandonare i falsi valori dell'Io occidentale - il potere sulla natura e sugli altri esseri umani, il possesso di beni materiali, il successo e la fama -, falsi valori centrati su una forma di conoscenza che mira al dominio, e di recuperare i veri valori dell'Io: la dignità, l'onore, il rispetto, il senso della comunità, tutto questo è frutto del riconoscimento del fatto che l'Io è al servizio del Sé, dunque, dell'esperienza della resa dell'Io (p. 237). Ma l'Io da sacrificare deve essere in buona salute, altrimenti siamo ancora nel mondo delle illusioni dell'Io occidentale! In questo consiste l'aspetto paradossale del processo bioenergetico: curare l'Io occidentale rigido, scisso, frammentato, gonfiato, sbrindellato, vaporizzato per dedicarlo appassionatamente alla manifestazione del Sé corporeo. Ma solo uno sguardo occidentale resta bloccato davanti al paradosso in questione, poiché il paradosso è il segnale del dialogo tra gli opposti, abilità che l'Occidente sembra aver cominciato a perdere 2500 anni fa proprio alla sua nascita. La Bioenergetica appare così dedicata a ripristinare questa abilità sapienziale - il dialogo tra gli opposti - attraverso la riconcettualizzazione dell'esperienza in Occidente. La pratica bioenergetica si presenta, infatti, in quest'ottica, come un atto di riconcettualizzazione dell'esperienza occidentale. Se, dunque, la "svolta affettiva" in campo cognitivo ha fatto sì che le neuroscienze stiano identificando un'ampia gamma di 'sistemi istintivi' relativi a: l'autoprotezione, il legame sociale, la raccolta di risorse, i comportamenti sessuali, le risposte di sopravvivenza, ecc.; e che si ritenga, oggi, che ognuno di questi 'sistemi adattivi' sia dotato di una sofisticata ed unica forma di "intelligenza adattiva", perché non cominciare, noi bioenergetici/che, a parlare di "intelligenza istintuale", rivendicando la nostra esperienza e la nostra pratica al riguardo?

La revisione del concetto di 'istinto' in connessione con lo sviluppo del "filone culturale corporeo", di cui l'analisi bioenergetica fa parte, come illustro nel mio articolo "L'analisi bioenergetica e il discorso sulla modernità", non può non prendere in considerazione le elaborazioni in altre discipline, come la storia, l'etnologia, l'antropologia culturale, la sociologia, ecc., le quali si occupano della dimensione collettiva complessiva dell'esperienza umana. Parliamo del dibattito intorno ai concetti di Wilderness, inglese, e di Wildnis, tedesco, equivalenti. "Wilderness: la natura allo stato selvaggio non alterata dall'intervento dell'uomo, con riferimento ad un ambiente indispensabile alla conservazione della biodiversità", scrive Tullio De Mauro nel Grande dizionario italiano dell'uso (Torino, 1999). In realtà, si tratta di qualcosa di più, di una filosofia di vita, molto precedente alla cultura ecologista contemporanea. In italiano non abbiamo un corrispettivo del termine inglese o tedesco, "a meno che non si voglia tradurlo con selvatico, ambiente primitivo, selvatichezza in genere", come ci suggerisce G. Zanghellini in Wilderness come esperienza di vita su Documenti Wilderness (anno XVI, n.1, 1999, p. 1). Significa ritrovare il senso del rapporto con la terra, sentendosi "come un albero nel bosco", per "trovare il bosco dentro di noi", per risentirci "ospiti" e "parte" dei luoghi naturali, cercando di non lasciare tracce del nostro passaggio, sintonizzandosi con i ritmi naturali, cercando di "sentire l'ambiente". "Il singolo non occupa più nella società il posto che l'albero occupa nel bosco: egli ricorda invece il passeggero di una veloce imbarcazione che potrebbe chiamarsi Titanic o anche Leviatano", scriveva Ernst Juenger, alla fine dell'Ottocento. Egli considera il bosco una sorta di "cellula primaria" a cui fare riferimento per recuperare il contatto con la nostra stessa essenza. La Wilderness-Wildniss è contrapposta alla "civilizzazione", intesa proprio come il processo che ha soffocato la natura dentro di noi. Negli Stati Uniti, Henry David Thoreau (1817-1862) rappresenta l'autore di riferimento dal 1854 ad oggi, anno in cui pubblicò "Walden, ovvero la vita nei boschi".

Il bosco è un luogo di iniziazione e uno spazio sacro nelle religioni della natura. Nel nostro mondo le immagini simboliche che subito ci vengono in mente sono Artemide-Diana e le ninfe, Pan e i fauni. Il culto di Diana rimase vivo nelle campagne fino alla fine del Quattrocento, fino a ché non venne attaccato massicciamente sia dai tribunali religiosi, cattolici e protestanti, sia dai rappresentanti della scienza occidentale in ascesa, demonizzando corporeità, sessualità e immaginazione e inventando la figura della "strega". Il recupero della parte istintuale-selvaggia dentro di noi anima il "filone corporeo", prima di tutto in ambito artistico e, poi, grazie a Reich e Lowen, in chiave corporea, appunto, e a Jung, in chiave simbolico-verbale, si è manifestato anche nel campo della psicoterapia. Pensiamo, infatti, come è importante per noi il simbolo dell'albero e l'identificazione con esso nelle nostre esperienze di "radicamento".

Un contributo recente al riconoscimento del "filone corporeo" come parte integrante del panorama culturale occidentale, è venuto, a mio avviso, dal lavoro dell'antropologo francese Bruno Latour, il quale ha affermato nel suo libro di successo Non siamo mai stati moderni: "In effetti, la società 'moderna' non ha mai funzionato in modo coerente con la grande scissura su cui si fonda il suo sistema di presentazione del mondo: quella che oppone natura e cultura. (...) è proprio questo paradigma fondatore che bisogna rimettere in discussione per riuscire a capire il nostro mondo."(p. 22).


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