Armonia naturale e disagio umano


"Vi è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore sapienza.", afferma F. W. Nietzsche (1) . Ho già mostrato più volte il collegamento tra Nietzsche e Lowen, attraverso Reich, nell'ambito della "riscoperta del corpo" avvenuta all'interno della cultura occidentale, tra la seconda metà dell'Ottocento e la prima metà del Novecento, soprattutto grazie al mondo germanico.
Ma la sapienza è indispensabile per poter prendere a modello la ragione che alberga nella corporeità con i suoi ritmi e cicli naturali, proprio come hanno fatto Nietzsche, Reich e Lowen. Non c'è, dunque, necessariamente opposizione tra la ragione del corpo e la ragione dell'intelletto, tra la Natura e la Cultura. Vediamo come si può spiegare quest'affermazione.
Proviamo a pensare che in noi esseri umani la Natura abbia fatto un passo indietro, lasciandoci scarsamente provvisti/e dei suoi provvidi e inconsci insegnamenti. Veniamo al mondo "immaturi/e", con solo due modelli comportamentali istintivi: il riflesso della suzione e la pulsione di aggrappamento. Questi modelli comportamentali istintivi evolveranno nel bacio e nell'abbraccio. La Natura non ci ha voluti/e abbandonare, dunque, dato che ci ha lasciato sulla culla, questi due doni meravigliosi, ha davvero solo fatto un passo indietro. Possiamo toccarci, abbracciarci, baciarci, anche annusarci e assaporarci l'un l'altro/a. E così bilanciare la tendenza della vista a prendere il sopravvento sugli altri sensi; la vista che è il senso più collegato alla "sapienza", alla "conoscenza", dunque, a ciò che ci distingue dagli altri viventi. La conoscenza non è naturale, ma è - o dovrebbe essere! - aspirazione a tornare a casa, forse, capacità di meritarsi di tornare a casa. 
In questa ricerca più volte dovremo affondare dentro noi stessi/e, nella nostra palude interna, che non è l'istinto, inteso come Natura, ma è ciò da cui la Natura ha fatto un passo indietro: un turbinio di emozioni senza guida, soprattutto, paura, disperazione e rabbia, che si fomentano a vicenda. Questo turbinio infernale ci impedisce di trovare pace. La pace è il premio nel momento in cui riusciamo a sintonizzarci con l'armonia perduta, così da dare forma al magma emotivo umano. In quei momenti sentiamo aria di casa. Si capisce così perché la pace sia considerata un dono della divinità in qualunque cultura che abbia il senso del sacro; si capisce perché non venga considerata una cosa umana. Anche nelle religioni abramiche, quali l'ebraismo, il cristianesimo e l'islam, il saluto che ci si scambia normalmente invoca la pace sulla persona che incontriamo: "shalom" vuol dire "pace" in ebraico; "salam 'aleikoum" vuol dire "la pace sia con te" in arabo; e i cristiani dicevano "pax vobis", "la pace sia con voi" in latino.
Ecco perché mi sembra che si possa affermare che non ci sia niente di più "umano" di quello che la cultura occidentale chiama dispregiativamente "istinto" in noi. Basta osservare gli animali, come sta facendo l'etologia da tempo, per notare che essi non sono preda dei nostri tre flagelli emotivi: paura, disperazione e rabbia. E che ne diventano vittime solo quando li intrappoliamo nel nostro mondo umano.
"L'intelletto è di per se stesso una sorta di eccesso e in qualunque volto ditrugge l'armonia. Non appena uno comincia a pensare, diventa tutto naso o tutta fronte, oppure qualcosa di orrendo.", scriveva provocatoriamente Osca Wilde (2). Vero è che noi umani, soprattutto noi occidentali, stiamo pericolosamente in bilico tra l'alienazione intellettuale e la palude delle emozioni. Per ovviare a ciò, possiamo applicarci a ricercare intenzionalmente la sintonizzazione con i ritmi e con i cicli della Natura, i quali ci ispirano il modo per dare "forma" e "senso" alle nostre esperienze. La dialettica disagio/pace ci caratterizzerà sempre, ma sarà uno sprone a dare forma e senso. A questa Cultura basata sulla corporeità, sui ritmi e sui cicli della Natura la Bioenergetica contribuisce ed è dedicata. 
    
(1) F.W. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Mursia, Milano, 1965, p.17
(2) O. Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, Mondadori, Milano, 1989, p.37

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